Nato dall’etichetta inglese più artigianale (all’epoca), la Virgin, frutto di un ottimo investimento, il disco scalò velocemente la classifica inglese, senza arrivare al primo posto perché le copie immesse erano poche e quindi furono subito esaurite, con i negozi d’importazione di tutto il mondo che facevano a botte per averne almeno una.
Eppure nonostante ciò Tubular Bells non è un disco commerciale, tutt’altro, è un disco con tante complessità piacevoli che difficilmente si riescono a capire con una recensione.
Mike Oldfield è il protagonista assoluto di tutti questi “solchi” (cinquanta minuti di suoni) sia come compositore che come esecutore, suonando praticamente tutti i venti e più strumenti che ivi compaiono: è proprio questa enorme varietà di strumenti la prima cosa che colpisce del disco: una vera celebrazione del suono nelle sue infinite possibilità.
Oldfield è come un grande imbuto teso ad imprigionare questo dono peculiare della musica progressiva che è la varietà dei suoni, l’emozione tonale, il perfetto rendimento acustico: da qui tutto questo patrimonio, raccolto e quindi manipolato, distorto, trasformato, esasperato o raddolcito diviene momento della sensibilità umana, istante creativo. Così la melodia, il ritmo, la composizione stessa nascono sul suono, per esso; con Oldfield ci si addentra in un profondo mutamento del concepire la composizione musicale: non più assoggettati alla monotonia degli strumenti usuali.
Così la “prima facciata” di questa variatissima suite raccoglie una serie di brevi, incisi, accattivanti flash musicali, ciascuno con i propri strumenti in una girandola emotiva di sensazioni espresse, di suoni incredibili: eppure in tutto questo variare, nell’improvviso succedersi delle melodie ai ritmi, della dolcezza più assoluta e del suono teso e lacerante, il mago Oldfield trova sottili fili conduttori, una trama di temi sovrapposti e intricati che procurano all’opera un nesso logico, il senso di una grande, maestosa progressione.
Questa progressione termina sinfonicamente nella passerella dei vari strumenti che lo stesso Mike presenta sorretto da una base ritmica di bassi spettacolari, il canto finale, simbolo della cristallinità, del poter racchiudere tutto in sé ricreando, è quello delle campane tubolari, le ispiratrici dell’opera.
La “seconda facciata” si presenta indubbiamente meno spettacolare, ma la continua varietà sonora, l’indugiare più a lungo sul modulo sonoro sprigionando in pieno la propria libertà espressiva, nulla tolgono anche a questa seconda parte. Oldfield, ormai padrone di tutti gli orizzonti musicali manifesta la sua misuratissima carica ironica incentrando il brano intorno al canto grottesco delle sue campane tubolari.
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