Il musicologo Ry Cooder ritorna con un nuovo lavoro a distanza di tre anni dalla trilogia formata dal bellissimo ‘progetto’ Chavez Ravine del 2005, dalla storia del gatto Buddy di My name is Buddy del 2007 e dal non tanto entusiasmante I, Flathead del 2008.
Per metà dei suoi quarant’anni di attività musicale, Ry si è prodigato a riscoprire i suoni di diverse culture del mondo, famosissima è quella cubana dei Buena Vista Social Club, dell’Africa con Ali Farka Toure, del soul/gospel con Mavis Staples e l’ultima irlandese con i Chieftains.
Pull Up Some Dust And Sit Down è un lavoro essenzialmente di matrice sociale/politica dove i testi marcatamente di protesta, prendono di mira soprattutto i banchieri, Wall Street e il disastro economico che ha messo in ginocchio gli Stati Uniti. Altro argomento preso in evidenza sono le leggi varate contro l’immigrazione, storie di povera gente in cerca di un futuro migliore e che invece a volte, purtroppo, incontra solo alla morte.
Se questo è l’aspetto essenzialmente testuale, il disco è di pura matrice “Cooderiana” suoni quindi praticamente a lui cari; rock, folk, blues, influenze messicane e irlandesi. Quattordici canzoni per quasi un’ora di musica nel quale il nostro ha saputo creare intense ballate acustiche, cariche di pathos ed estremamente profonde.
Forse tra i dischi più completi che abbia mai inciso, Pull Up Some Dust And Sit Down non è un lavoro ‘facile’ e come tale ha bisogno di molti ascolti. Tutte le grandi opere hanno questa peculiarità.
Essenzialmente non c’è molto da aggiungere se non il solo consiglio di procurarvelo. In fondo, parlare di questo disco risulta più difficile che ascoltarlo.
Non svetterà le classifiche di vendita ma Pull Up Some Dust And Sit Down rimarrà senz’altro un’opera coraggiosa, ricca di valore testuale e musicale che, ancora una volta, dimostra che Ry Cooder è un grandissimo uomo e musicista.
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