Laurie Anderson, tra le mie preferite, è stata più volte segnalata in questo blog, con il capolavoro “Strange Angels”, e con la non certo entusiasmante ultima prova “Homeland”.
Quello che rimane comunque, il suo manifesto sonoro è Big Science. Musica d’avanguardia, apparentemente priva di potenzialità commerciali, che scala fino ai vertici le classifiche commerciali di vendita americane: Big Science, conciso riassunto della ben più imponente performance multimediale United States I-IV, è un caso pressoché unico nella storia pur concitata e ricca di colpi di scena del suono dei nostri tempi.
Giochi di voci filtrate, tastiere solenni ma mai invadenti, imprevedibili soluzioni di arrangiamenti e ritmi appena accennati, con il sostanziale contributo del “tape-bow violin” — uno strumento inventato dalla stessa artista naturalizzata newyorkese, un violino in cui l’archetto è un nastro pre-inciso e le corde una testina magnetica — interagiscono nella creazione di un sound “caldo” a dispetto della sua ostentata glacialità, comunicativo pur nella sua minimale freddezza, pienamente godibile all’ascolto nonostante il suo impatto decisamente ostico: una novità assoluta per il mondo fatuo delle charts.
Influenzato dal rock nello spirito, e non certo nella forma, Big Science è la trasposizione in “musica” ipnotico-allucinata del nostro vivere in una società tecnologica, senza gli eccessi dissonanti che sovente accompagnabno le sperimantazioni ma con la luce-guida di un approcio creativo sempre profondamnete “umano” nel suo uso del media elettronico.
In bilico fra avanguardia, classica e “pop”, fra essenzialità strutturale e ridondanza di contenuti e “messaggio”, Big Science è il perfetto matrimonio fra arte e intelletto, fra istinto e ragione, fra l’uno e il tutto.
0 commenti