Diciamolo… non mi convince molto questo “Same Old Man” ultimo disco di John Hiatt, songwriters tra i miei preferiti da sempre. Non riesce questo lavoro a far premere continuamente il tasto play del riproduttore musicale. Poco a che vedere con l’ultimo e buono “Master of Disaster”, niente con l’ottimo “Crossing Muddy Waters” o con “Slow Turning”, anni luce dal capolavoro “Bring the Family”.
L’unica cosa che ancora riesce a convincermi è la sua voce, grande e affascinante, nonostante gli anni ne consumino il timbro, rimane sempre unica e profonda. Ma la voce da sola a volte non basta a far apprezzare un disco o almeno non in questo caso.
Le undici canzoni che compongono l’album sono essenzialmente semplici, povere, acustiche, il suono è orientato verso il folk, il country e il blues, niente di particolarmente nuovo anzi, il disco suona da “già sentito”.
“E’ un disco tutto mio anche perchè si parla fondamentalmente di me; diciamo che non avevo nessuno con cui scambiare opinioni”.
I testi sono rivolti al passato, è il titolo stesso che lo suggerisce, un passato però senza tante nostalgie, senza particolari malinconie, ma con buone dosi d’ironia e sarcasmo. Hiatt parla della sua vita che, certamente facile non è stata (soprattutto a causa delle morti familiari), racconta delle sue esperienze di uomo, di musicista, di artista.
Same Old Man è un album sufficiente, forse un po’ troppo abitudinario e un po’ stanco, non ci sono particolari scosse di cui Hiatt ci aveva abituato nei dischi precedenti.
L’opera è onesta ma manca d’ispirazione. Probabilmente il nostro Hiatt ha bisogno di scambiare opinioni con altri, meglio se musicisti, ha bisogno di attingere entusiasmo e questo lo può trovare solo cambiando le sue formule sonore, che ormai puzzano un po’ di stantio.
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