Con queste parole Keith Jarrett esprimeva il suo personalissimo concetto di musica fatto da continue scoperte. Settanta minuti d’improvvisazione geniale, un continuo smussare pensieri musicali in evoluzione con impostazioni fluide e un particolare uso percussivo delle tastiera. Jarrett non è un caposcuola, non ha discepoli devoti, eppure è un maestro unico. Il ‘concerto di Colonia’ carpisce un momento di grandissima creatività. Il pianista sceglie un suono o una frase e la elabora estemporaneamente, senza premeditazione alcuna, solo con meravigliosa spontaneità e gusto imprevedibile.
“Non possiedo nemmeno un seme quando comincio a suonare. E’ come partire da zero”.
Passaggi veloci, prepotenza generosa di estrema liricità ed una grande musica senza spartito che poggia le sue basi, oltre che sull’abilità tecnica, sulla possibilità di continuare ad inserire nuovi suoni, nuove melodie.
Un artista randagio che cercherà ancora la sua poesia interiore con modalità inusitate, con avventure roboanti e per certi versi eccessive. Questa resta indubbiamente l’essenza sublime del suo inarrestabile pianismo, un album jazz che a tutt’oggi ha venduto qualcosa come duemilioni e mezzo di copie.
“Il jazz è lasciare che la luce brilli. Non cercare di accrescerla, lasciarla essere”.
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