Dire che con questo quindicesimo lavoro i R.E.M. ritornano alle origini, è assai azzardato.
Eguagliare ottimi dischi e capolavori come Document dell ’87, Green dell ’88, Out of Time dell ’91 e Automatic for the People dell ’92, non è cosa semplice.
Personalmente, dopo il buon New Adventures in Hi-Fi dell ’96, li avevo trascurati se non per qualche ascolto di Up dell ’98 e Reveal del 2001.
In realtà in questi “anni duemila” il loro suono è diventato “piatto” e privo di emozioni, un continuo girare e rigirare nella stessa pentola di note. D’altronde in trent’anni di carriera non è facile rimanere in auge e sfornare nuovi lavori originali. Proprio per questo qualche maligno aveva simpaticamente consigliato di sciogliersi [sic!]
Per pura curiosità ho voluto mettere il naso, o meglio le orecchie, su queste dodici tracce e, ascolto dopo ascolto, con meraviglia il disco mi ha preso come mai avrei pensato.
Immagino Michael Stipe, Peter Buck e Mike Mills attorno ad un tavolo che dicono: “E adesso che facciamo?” “Che strada prendiamo?”
Hanno scelto quella più comoda ma probabilmente anche più rischiosa. Continuare a produrre un nuovo “suono” sulla base di quello vecchio già conosciuto e sperimentato nei dischi sopra citati, correndo però il rischio reale di ripetersi.
Sono stati bravi.
L’album se pur non un capolavoro si fa ascoltare senza noia che di questi tempi è già tanto. Dodici canzoni in un alternarsi di ballate, alcune struggenti, altre ruvide, altre melodiche, con il supplemento vocale di Patti Smith e Eddie Vedder in due brani che è un piacere sentire, mettendoci a nostro agio e strizzandoci l’occhio simpaticamente.
Un buon disco, in conclusione, a dimostrazione che i R.E.M. nonostante la fama e il denaro (il parallelo con i Rolling Stones è inevitabile) hanno ancora voglia di mettersi in discussione, nonostante l’età.
Un Cd di quelli che possiamo ascoltare nei viaggi automobilistici a far da corollario alle immagini che vediamo dai finestrini mentre la nostra mente naviga chissà verso quali pensieri.
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