I settanta furono anni drammatici ma importanti per Clapton. Egli vinse la propria battaglia contro l’eroina e risorse a nuova vita con un album come “461 Ocean Boulevard”, scoprendosi, poi, un redditizio hitmaker ed autore di ellepi che — minimo — divennero d’oro, per non dire di platino.
“Slowhand” è uno di questi. Il titolo coincide con il nomignolo che gli avevano affibbiato i fans.
Da tempo Clapton nutriva una passione speciale per JJ Cale. Almeno dal periodo di “After midnight”, che egli aveva portato in classifica nel ’70.
Ed è proprio dall’ascolto della musica di quello schivo e solitario eroe dell’Oklahoma che egli si decide a dare una sterzata alla sua produzione incidendo “461 Ocean Boulevard”.
Lo stile diventa leggermente più commerciale, ma mantiene sempre il feeling del blues, pur facendo a meno — talvolta — della sua struttura.
Il gruppo che accompagna Clapton è collaudato e sa riservare al leader gli spazi necessari per le luminose invenzioni “della solista”. L’essenziale di “Slowhand” è dato da ballate molto molto lente, da canzoni ritmate sullo stile pigro di JJ Cale e da una buona dose di blues senza parlare delle aperture al County.
Tutto è semplice e lineare; tutto è avvolto da un sottile velo di melanconia; da meritare ascolti ripetuti anche a distanza di anni dalla pubblicazione.
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