“L’album blues più venduto in assoluto per uno dei più grandi bluesman ancor oggi in circolazione”, recitava la pubblicità del disco a fine anni novanta, poco prima della morte avvenuta nel 2001 a ottantaquattro anni.
Il termine “blues” è probabilmente più abusato che usato in questo disco che, sinceramente ho ascoltato fino alla nausea, per la sua immediatezza, per la sua ascoltabilità ma non certamente per la sua sonorità marcatamente blues.
Con questo disco, la chitarra più corteggiata del rock insieme a Muddy Waters e anche l’unico a uscire e imporsi dal ghetto di Detroit, ritorna con un album sensazionale che riassume e condensa tutte le indicazioni e i significati della sua arte e del suo modo di intendere il blues.
Premiato con molti Grammy Awards, il primo brano omonimo del disco è “il miglior singolo del 1989”, il canto caldo e profondo di Hooker accompagnato dalla chitarra di Carlos Santana e dal suo gruppo, creano un mix esplosivo, musica caraibica arricchita dallo spirito del Mississipi. I brani che seguono presentano ancora duetti d’eccezione con Robert Cray, Canned Heat, Los Lobos, Charlie Musselwhite. Meritano una citazione a parte la sensuale I’m in the mood, in cui Hooker duetta con Bonnie Raitt, cantante e chitarrista straordinaria, l’intrigante Sally Mae con George Thorogood alla slide guitar ed infine il pezzo di chiusura No Substitute, dove un solitario Hooker evoca atmosfere che ci riportano indietro nel tempo, alla schiavitù, alla malinconia e alla sofferenza del popolo afro-americano costretto a vivere ai margini della società, ma in cerca di un riscatto attraverso l’espressione della propria cultura e della propria spiritualità.
Dentro queste superbe ballate ci sono sentimenti ed emozioni di uno stile che il tempo non potrà mai sbiadire. Questo è un album che unisce in modo molto naturale tradizione e sonorità moderne; tutto questo grazie anche al lavoro di Roy Rodger, sapiente produttore del disco che riesce a creare l’ennesimo capolavoro di John Lee Hooker.
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